l tempo vola: da quel 20 gennaio 1993, quando Audrey Hepburn morì nel sonno nella sua casa in Svizzera, sono già passati 30 anni.
Di lei si è scritto tutto e nel tempo se ne è fatta un’icona, simbolo di grazia ed eleganza. Con i suoi pantaloni a sigaretta, le sue ballerine rasoterra e le scollature a barchetta ha dettato lo stile di un’epoca, diventandone un riferimento e le sue interpretazioni cinematografiche l’hanno resa indimenticabile, che sia per il ruolo di
Holly Golightly in Colazione da Tiffany o per quello della principessa Anna di Vacanze Romane.
“Audrey è stata un modello positivo, assoluto e senza tempo”.
Nessuna come lei è stata così universalmente amata e ammirata nella storia del cinema.
Con la sua gentilezza e quel sorriso irresistibile conquistava tutti, ma a differenza di altre star era adorata soprattutto dal pubblico femminile. Fin dagli anni Cinquanta, qualunque ragazza voleva somigliare a lei e ancora oggi resta riferimento di stile, anche per le giovanissime», racconta Chiara Pasqualetti Johnson, autrice del recentissimo libro Audrey. Una vita, uno stile (White Star, 224 pagine, 150 illustrazioni a colori). Ed è a lei che abbiamo fatto qualche domanda, per ricordare l’attrice in questo 20 gennaio di 30 anni dopo la sua scomparsa.
Come Marilyn, come James Dean, Audrey Hepburn è diventata un mito: perché secondo lei? Che cos’ha che gli altri non hanno?
Tutti loro hanno dimostrato che la bellezza non basta.
E nel caso di Audrey questo vale più che mai.
Dietro al suo successo c’era una montagna di lavoro, impegno e dedizione, ma anche dei solidi principi morali con i quali non è mai scesa a compromessi.
La sua tenacia nel provare a diventare una ballerina le aveva regalato una disciplina ferrea che le è stata di grande aiuto quando ha deciso di fare l’attrice, così come la sua educazione europea, ma anche una spontaneità quasi infantile che aveva conservato nonostante gli orrori vissuti durante la guerra.
Lo stile che l’ha resa leggendaria non era un abito di scena, ma il riflesso della sua personalità.
Persino le creazioni perfette di Givenchy prendevano nuova vita addosso a lei: nessun’altra avrebbe mai valorizzato quegli abiti allo stesso modo. Penso al tubino nero di Colazione da Tiffany, un capo che normalmente veniva associato al fascino torbido delle dark lady.
Addosso a lei diventa l’emblema dell’eleganza, ma anche il simbolo di una nuova femminilità. Quel vestito, indossato da Audrey con il suo viso acqua e sapone e un paio di enormi occhiali da sole, segna un cambiamento epocale. Dopo quel film, diventa normale per una ragazza indossare un abito da sera la mattina presto, ma soprattutto diventa normale essere single e vivere la stessa libertà sessuale del personaggio di Holly Golightly, la protagonista interpretata da Audrey nel 1961».
Ormai sono passati 30 anni dalla sua morte: chi è oggi la nuova Audrey Hepburn?
«Difficile fare paragoni con una figura come quella di Audrey.
La sua eleganza e il suo stile sono ancora oggi un modello imitato dalle star del cinema.
Ci sono attrici che secondo me le assomigliano molto, come Lily Collins, ma non basta avere lo stesso aspetto per essere “la nuova Audrey”.
Lei spiccava proprio perché era diversa da tutte.
In un’epoca in cui dominavano le curve esplosive delle pin-up, si era imposta con il suo fisico androgino e la postura da ballerina.
Sono molto curiosa di vedere come verrà interpretata da Rooney Mara nel nuovo film di Luca Guadagnino che uscirà proprio quest’anno.
Con chi starebbe oggi Audrey Hepburn? Da che parte? Con chi la vedremmo fotografata?
«Audrey ha dedicato l’ultima parte della sua vita a sostenere l’Unicef. Lei stessa, da piccola, era stata soccorsa dai volontari alla fine della guerra, ricevendo un aiuto che non aveva mai dimenticato. Così aveva scelto di diventare ambasciatrice di buona volontà, impegnandosi non solo a parole, ma viaggiando e visitando di persona i luoghi che in quegli anni erano i più poveri e difficili del mondo. Aveva puntato dritto verso l’epicentro del disastro, visitando l’Etiopia e la Somalia. Grazie a lei, la terribile realtà africana aveva avuto una visibilità che nessuno era mai riuscito a darle, facendo in modo che tutti aprissero gli occhi su quegli orrori. Io credo che oggi sarebbe al fianco delle donne iraniane, esponendosi in prima linea e usando la sua immensa fama per dare voce a chi non ce l’ha».
Una lezione che tutti dovremmo imparare da Audrey Hepburn?
«“L’eleganza è l’unica bellezza che non sfiorisce mai”. Ho scelto di stampare proprio questa frase di Audrey sul retro della copertina del mio libro. In queste parole c’è la saggezza di una donna che col tempo aveva imparato ad accettare i suoi difetti e a valorizzare quello che tutti abbiamo di bello, fuori e dentro di noi».
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